sabato 25 dicembre 2010

Una dedica alternativa

Un augurio un po' fuori le righe, forse un po' sopra le righe, sicuramente a margine dei soliti buon Natale e felice anno nuovo. Un desiderio, una dedica a chiunque abbia piacere di fermarsi ad ascoltare e leggere un paio di minuti in questo piccolo spazio. Ma anche a chi quella voglia non ce l'ha, a chi non conosce questo luogo, a chi, comunque, ha bisogno di un momento di riposo nella sua lotta quotidiana.

lunedì 13 dicembre 2010

La Pretoria approda all'Ubu



LImmanuel Kant di Thomas Bernhard, il bellissimo spettacolo, per la regia di Alessandro Gassman, che da giugno portiamo nei teatri italiani, ha vinto il Premio Ubu 2010, il più prestigioso riconoscimento del teatro italiano, come Migliore Novità Straniera.
Ad Alessandro, oltre che per la geniale regia, va anche il merito di avere saputo creare un gruppo di tecnici e attori tra i più coesi e affiatati che si siano mai visti, capaci di mostrare un grande spirito di collaborazione e adattamento a seconda delle esigenze che, di volta in volta, si sono manifestate nelle singole piazze di una tournée intensa e complessa, che ci ha regalato profonde soddisfazioni.
Ritengo opportuno, perciò, ricordare tutte le persone che, insieme, hanno permesso il raggiungimento di questo prestigiosissimo traguardo:

regia
Alessandro Gassman
scene
Gianluca Amodio
costumi
Gianluca Falaschi
musiche originali
Pivio & Aldo De Scalzi
disegno luci
Marco Palmieri
suono
Massimiliano Tettoni
interpreti
Manrico Gammarota, Mauro Marino, Paolo Fosso, Emanuele Maria Basso, Giacomo Rosselli, Nanni Calendari, Massimo Lello, Giulio Federico Janni, Marco Barone Lumaga, Matteo Fresch, Davide Dolores, Massimiliano Mastroeni.
aiuto regia
Giulia Dietrich
direttore di scena
Paolo Bandiera
Macchinista
Mauro Tunno
elettricista
Giuseppe Filipponio
sarta
Romilda Zaccaria
amministratori di compagnia
Agnese Bonini, Caterina Wierdis

venerdì 3 dicembre 2010

Fuga da Alcatraz

Ieri sono finalmente riuscito a fuggire da "Alcatraz", come alcuni di noi hanno ribattezzato l'hotel che ci ha ospitato per 3 notti.
I motivi per cui si è guadagnato  questo nome sono diversi: il fatto che la struttura fosse a 5,4 km dal primo centro abitato, che fossero assenti mezzi di trasporto pubblici e privati per andare in città (tranne il pulmino che ci prelevava solo per andare a fare spettacolo la sera), che l'albergo fosse collocato nel nulla con alle spalle rocce e davanti il mare (unica possibile via di fuga per chi è in grado di nuotare per decine di miglia) 
e, soprattutto, che fossimo gli unici ospiti dell'hotel. Se ci si aggiunge anche il fatto che la gigantesca struttura era arredata e colorata stile anni '70 (no, non quelli di gusto psichedelico, ma tristi tipo mura e colonne color pistacchio con divani e mobili caramello) e che l'unica musica diffusa in ogni ambiente, 24 ore su 24, era sempre fine '70 si può appena intuire il profondo e devastante dramma che abbiamo vissuto durante il nostro soggiorno. Le luci, inoltre, la sera erano fioche a tal punto da ricordare quelle di alcuni ospedali, pensionati per anziani o cimiteri.
Questa è la struttura dell'albergo.

Non fatevi strane idee: le auto ritratte in queste foto sono dei dipendenti, non di altri ospiti dell'albergo. Questa situazione costringeva tutti a passare l'intera giornata, e parte della serata, chiusi dentro a girare in tondo per le sale enormi e vuote, la hall con i colori descritti prima o, peggio, ognuno nella propria camera a fissare la tv dal letto rischiando di farsi venire piaghe da decubito.
Il primo giorno è passato abbastanza bene. Al secondo giorno già qualcuno cominciava a lamentare una strana apatia, senso di irrequietezza alternata ad attacchi improvvisi di sonnolenza, istinti alcolisti immediatamente assecondati.
Ma è al terzo giorno che si è raggiunto l'apice della distruzione psichica e morale di noi tutti, motivo per cui ho cominciato a coltivare il sospetto che forse, più che ad Alcatraz, ci trovassimo nell'Overlook Hotel: persone abbandonate per ore sui divani della hall a leggere decine di volte lo stesso giornale, oppure addormentati sulle poltrone in posizioni orrende, altri chiusi nelle camere l'intera giornata, o a fumare pacchetti interi camminando su e giù per il parcheggio circolare dell'albergo, altri ancora (soprattutto la sera, dopo aver mangiato un panino in camera, poiché il ristorante dell'albergo chiudeva alle 22.00) al bancone bar a bere Cirò rosé (un'esperienza che non augurerei nemmeno al peggior nemico). La notte del terzo giorno ha alimentato depressioni e istinti suicidi latenti sfociati, per fortuna, nel peggiore dei casi, in piccole e brevi crisi di nervi documentate qui.

La mattina del quarto giorno illuminava i volti pallidi e gli occhi gonfi di noi che ci salutavamo incontrandoci nella hall come degli increduli sopravvissuti ad un qualche armageddon psichico, felici che alla conta non mancasse nessuno, e aspettavamo con gioiosa speranza il pulmino privato che alle 12 in punto ci avrebbe restituiti al mondo.