venerdì 3 dicembre 2010

Fuga da Alcatraz

Ieri sono finalmente riuscito a fuggire da "Alcatraz", come alcuni di noi hanno ribattezzato l'hotel che ci ha ospitato per 3 notti.
I motivi per cui si è guadagnato  questo nome sono diversi: il fatto che la struttura fosse a 5,4 km dal primo centro abitato, che fossero assenti mezzi di trasporto pubblici e privati per andare in città (tranne il pulmino che ci prelevava solo per andare a fare spettacolo la sera), che l'albergo fosse collocato nel nulla con alle spalle rocce e davanti il mare (unica possibile via di fuga per chi è in grado di nuotare per decine di miglia) 
e, soprattutto, che fossimo gli unici ospiti dell'hotel. Se ci si aggiunge anche il fatto che la gigantesca struttura era arredata e colorata stile anni '70 (no, non quelli di gusto psichedelico, ma tristi tipo mura e colonne color pistacchio con divani e mobili caramello) e che l'unica musica diffusa in ogni ambiente, 24 ore su 24, era sempre fine '70 si può appena intuire il profondo e devastante dramma che abbiamo vissuto durante il nostro soggiorno. Le luci, inoltre, la sera erano fioche a tal punto da ricordare quelle di alcuni ospedali, pensionati per anziani o cimiteri.
Questa è la struttura dell'albergo.

Non fatevi strane idee: le auto ritratte in queste foto sono dei dipendenti, non di altri ospiti dell'albergo. Questa situazione costringeva tutti a passare l'intera giornata, e parte della serata, chiusi dentro a girare in tondo per le sale enormi e vuote, la hall con i colori descritti prima o, peggio, ognuno nella propria camera a fissare la tv dal letto rischiando di farsi venire piaghe da decubito.
Il primo giorno è passato abbastanza bene. Al secondo giorno già qualcuno cominciava a lamentare una strana apatia, senso di irrequietezza alternata ad attacchi improvvisi di sonnolenza, istinti alcolisti immediatamente assecondati.
Ma è al terzo giorno che si è raggiunto l'apice della distruzione psichica e morale di noi tutti, motivo per cui ho cominciato a coltivare il sospetto che forse, più che ad Alcatraz, ci trovassimo nell'Overlook Hotel: persone abbandonate per ore sui divani della hall a leggere decine di volte lo stesso giornale, oppure addormentati sulle poltrone in posizioni orrende, altri chiusi nelle camere l'intera giornata, o a fumare pacchetti interi camminando su e giù per il parcheggio circolare dell'albergo, altri ancora (soprattutto la sera, dopo aver mangiato un panino in camera, poiché il ristorante dell'albergo chiudeva alle 22.00) al bancone bar a bere Cirò rosé (un'esperienza che non augurerei nemmeno al peggior nemico). La notte del terzo giorno ha alimentato depressioni e istinti suicidi latenti sfociati, per fortuna, nel peggiore dei casi, in piccole e brevi crisi di nervi documentate qui.

La mattina del quarto giorno illuminava i volti pallidi e gli occhi gonfi di noi che ci salutavamo incontrandoci nella hall come degli increduli sopravvissuti ad un qualche armageddon psichico, felici che alla conta non mancasse nessuno, e aspettavamo con gioiosa speranza il pulmino privato che alle 12 in punto ci avrebbe restituiti al mondo.

2 commenti:

Sara Santolini ha detto...

L'importante è che alla fine siate riusciti a fuggire... o siete rinchiusi come in Persons Unknown?

JUJU ha detto...

Ci mancava solo che una voce ci chiedesse di ucciderci l'un l'altro...