venerdì 25 marzo 2011

Ora non possiamo più



UOMO Sei bella.
DONNA Anche tu.
UOMO Sei molto bella.
DONNA Adesso non esagerare.
UOMO E’ così, credimi.
DONNA Sei gentile.
(pausa)

UOMO Ti desidero.
DONNA Anch’io.
UOMO Ti ho sempre desiderata.
DONNA Lo so.
UOMO Ti ho cercata negli anni.
DONNA E’ molto che ci conosciamo.
UOMO Ti ho cercata nel tempo.
DONNA Ero qui.
UOMO Anch’io.
DONNA Siamo sempre stati qui.
UOMO Ma non ci siamo trovati.
DONNA Ci guardavamo senza vederci.
UOMO Forse è andata così.
DONNA O forse non abbiamo avuto coraggio
UOMO Forse no.
DONNA No.
(pausa)
UOMO Ho sognato tanto l’amore con te.
DONNA Davvero?
UOMO Sì. Ho tanto desiderato fare l’amore con te.
DONNA Mi sono spesso domandata come sarebbe stato farlo con te.
UOMO Davvero?
DONNA Sì.
UOMO E poi?
DONNA Poi ho aspettato che tu mi trovassi.
(pausa)

UOMO Mi spiace.
DONNA Sì.
UOMO Sì.
DONNA Ora non possiamo più.
UOMO No.
DONNA Perché ami lei.
UOMO Perché amo lei.
(pausa)

UOMO Ci siamo amati?
DONNA Noi due?
UOMO Sì.
DONNA A mio modo ti ho amato.
UOMO A tuo modo.
DONNA Sì.
UOMO Io ti ho amata.
DONNA A tuo modo.
UOMO Sì.
(pausa)

UOMO Avrei voluto...
DONNA Sssst.
(pausa)

UOMO Ora non possiamo più.
DONNA No.
UOMO Perché amo lei.
DONNA Perché ami lei.
(pausa)

UOMO Sei bella.
DONNA Anche tu.

venerdì 11 marzo 2011

Fantasmi

Ore 17: salgo sul treno che mi riporta a Roma. Cerco il mio posto e mi ritrovo seduto di fronte al fantasma di Thomas Bernhard. Subito imposta una conversazione di servizio incentrata sul tempo meteorologico e le sue infinite variabili poi, senza alcun preavviso, passa ad una dissertazione sulla "ragionata casualità" nell'assegnazione dei posti sul treno, come a dire che se io e lui ci ritroviamo uno di fronte all'altro proprio oggi, proprio ora, proprio qui vuole certamente significare qualcosa. La sua voce è calda, il tono è gentile, pacato. D'un tratto, non si sa come e per quale processo associativo di pensieri, mi ritrovo ad ascoltare la sua teoria sulla vacuità dell'esistenza umana. Infine si addormenta, di schianto, russando. Lo osservo dormire e sorrido, piano, per non disturbarlo: oggi è davvero valso la pena vivere.

sabato 25 dicembre 2010

Una dedica alternativa

Un augurio un po' fuori le righe, forse un po' sopra le righe, sicuramente a margine dei soliti buon Natale e felice anno nuovo. Un desiderio, una dedica a chiunque abbia piacere di fermarsi ad ascoltare e leggere un paio di minuti in questo piccolo spazio. Ma anche a chi quella voglia non ce l'ha, a chi non conosce questo luogo, a chi, comunque, ha bisogno di un momento di riposo nella sua lotta quotidiana.

lunedì 13 dicembre 2010

La Pretoria approda all'Ubu



LImmanuel Kant di Thomas Bernhard, il bellissimo spettacolo, per la regia di Alessandro Gassman, che da giugno portiamo nei teatri italiani, ha vinto il Premio Ubu 2010, il più prestigioso riconoscimento del teatro italiano, come Migliore Novità Straniera.
Ad Alessandro, oltre che per la geniale regia, va anche il merito di avere saputo creare un gruppo di tecnici e attori tra i più coesi e affiatati che si siano mai visti, capaci di mostrare un grande spirito di collaborazione e adattamento a seconda delle esigenze che, di volta in volta, si sono manifestate nelle singole piazze di una tournée intensa e complessa, che ci ha regalato profonde soddisfazioni.
Ritengo opportuno, perciò, ricordare tutte le persone che, insieme, hanno permesso il raggiungimento di questo prestigiosissimo traguardo:

regia
Alessandro Gassman
scene
Gianluca Amodio
costumi
Gianluca Falaschi
musiche originali
Pivio & Aldo De Scalzi
disegno luci
Marco Palmieri
suono
Massimiliano Tettoni
interpreti
Manrico Gammarota, Mauro Marino, Paolo Fosso, Emanuele Maria Basso, Giacomo Rosselli, Nanni Calendari, Massimo Lello, Giulio Federico Janni, Marco Barone Lumaga, Matteo Fresch, Davide Dolores, Massimiliano Mastroeni.
aiuto regia
Giulia Dietrich
direttore di scena
Paolo Bandiera
Macchinista
Mauro Tunno
elettricista
Giuseppe Filipponio
sarta
Romilda Zaccaria
amministratori di compagnia
Agnese Bonini, Caterina Wierdis

venerdì 3 dicembre 2010

Fuga da Alcatraz

Ieri sono finalmente riuscito a fuggire da "Alcatraz", come alcuni di noi hanno ribattezzato l'hotel che ci ha ospitato per 3 notti.
I motivi per cui si è guadagnato  questo nome sono diversi: il fatto che la struttura fosse a 5,4 km dal primo centro abitato, che fossero assenti mezzi di trasporto pubblici e privati per andare in città (tranne il pulmino che ci prelevava solo per andare a fare spettacolo la sera), che l'albergo fosse collocato nel nulla con alle spalle rocce e davanti il mare (unica possibile via di fuga per chi è in grado di nuotare per decine di miglia) 
e, soprattutto, che fossimo gli unici ospiti dell'hotel. Se ci si aggiunge anche il fatto che la gigantesca struttura era arredata e colorata stile anni '70 (no, non quelli di gusto psichedelico, ma tristi tipo mura e colonne color pistacchio con divani e mobili caramello) e che l'unica musica diffusa in ogni ambiente, 24 ore su 24, era sempre fine '70 si può appena intuire il profondo e devastante dramma che abbiamo vissuto durante il nostro soggiorno. Le luci, inoltre, la sera erano fioche a tal punto da ricordare quelle di alcuni ospedali, pensionati per anziani o cimiteri.
Questa è la struttura dell'albergo.

Non fatevi strane idee: le auto ritratte in queste foto sono dei dipendenti, non di altri ospiti dell'albergo. Questa situazione costringeva tutti a passare l'intera giornata, e parte della serata, chiusi dentro a girare in tondo per le sale enormi e vuote, la hall con i colori descritti prima o, peggio, ognuno nella propria camera a fissare la tv dal letto rischiando di farsi venire piaghe da decubito.
Il primo giorno è passato abbastanza bene. Al secondo giorno già qualcuno cominciava a lamentare una strana apatia, senso di irrequietezza alternata ad attacchi improvvisi di sonnolenza, istinti alcolisti immediatamente assecondati.
Ma è al terzo giorno che si è raggiunto l'apice della distruzione psichica e morale di noi tutti, motivo per cui ho cominciato a coltivare il sospetto che forse, più che ad Alcatraz, ci trovassimo nell'Overlook Hotel: persone abbandonate per ore sui divani della hall a leggere decine di volte lo stesso giornale, oppure addormentati sulle poltrone in posizioni orrende, altri chiusi nelle camere l'intera giornata, o a fumare pacchetti interi camminando su e giù per il parcheggio circolare dell'albergo, altri ancora (soprattutto la sera, dopo aver mangiato un panino in camera, poiché il ristorante dell'albergo chiudeva alle 22.00) al bancone bar a bere Cirò rosé (un'esperienza che non augurerei nemmeno al peggior nemico). La notte del terzo giorno ha alimentato depressioni e istinti suicidi latenti sfociati, per fortuna, nel peggiore dei casi, in piccole e brevi crisi di nervi documentate qui.

La mattina del quarto giorno illuminava i volti pallidi e gli occhi gonfi di noi che ci salutavamo incontrandoci nella hall come degli increduli sopravvissuti ad un qualche armageddon psichico, felici che alla conta non mancasse nessuno, e aspettavamo con gioiosa speranza il pulmino privato che alle 12 in punto ci avrebbe restituiti al mondo.

martedì 30 novembre 2010

Immanuel Kant




"Immanuel Kant" di Thomas Bernhard - uno spettacolo di Alesandro Gassman


Se è innegabile la bravura di Alessandro Gassman come attore, da domani non potrete fare a meno di apprezzarlo anche come regista teatrale. Il testo che ha scelto, "Immanuel Kant", la dice lunga sulle sfide artistiche che il neo direttore del Teatro Stabile del Veneto ha deciso di affrontare. Thoman Bernhard, infatti, è innegabilmente un grandissimo autore, ma assolutamente - e altrettanto innegabilmente - di non facile fruizione. Rendere il Kant, una delle opere meno "teatrali" di Bernhard, addirittura divertente è il merito più grande di Alessandro Gassman in questa regia.
Il tema portante dello spettacolo, che si svolge interamente in alto mare, è l'imminente perdita della vista del padre della filosofia moderna. Immanuel Kant, spinto da sua moglie (invenzione teatrale dell'autore), è in viaggio proprio per cercare di recuperarla grazie alla medicina americana. Sulla nave egli stesso riuscirà a vedere dove questo viaggio porta l'umanità intera, in qualche modo illuminata dalla sua filosofia ma più spesso incosciente e ignara.
Lo spettacolo è piacevole ma non superficiale: suggerisce degli spunti di riflessione niente male. 
I personaggi, tutti, vivono una solitudine viscerale che ne altera le caratteristiche spingendole fino al grottesco e rendendone possibile l'elezione a simboli dell'uno o dell'altro modo di vedere e vivere la vita. 
Il cantante jazz che lavora come cuoco a bordo e terrorizza i suoi sottoposti approfittando del suo potere; i due aiuti-cuoco che continuano a prendere porte in faccia - ma a ridere di soppiatto del loro capo, se ne capita l'occasione; il cardinale omosessuale che non sa assolutamente niente della Chiesa cattolica e che insegue un povero pretino, sottoposto sì, ma che si rivela l'unica possibilità del cardinale di non inanellare continue figuracce e dunque di avere un rapporto decente col resto degli ospiti; l'ammiraglio che soffre di mal di mare e che ostenta una cultura che non ha per darsi un contegno; il collezionista d'arte ormai finito per età e debolezza di orecchio che capisce nulla di quello che gli viene detto; lo steward, più attento al cibo e a bere fino a ubriacarsi in attesa di tuffarsi verso il nuovo mondo che lo aspetta che al suo lavoro; il servo di Kant, Ernst Ludwig, un uomo deforme e subalterno che sembra fino alla fine solo una specie di traduttore dei versi del pappagallo domestico del suo padrone; la milionaria pazza, ricca "figlia del capitalismo" sola al mondo con i suoi soldi, il suo egocentrismo e la sua curiosità per la conoscenza che si ferma però al più becero dei gossip; la signora Kant, che lotta tra frivolezza e quella che per lei è una necessità di spessore - tutti i personaggi sono inadeguati nel ruolo che la vita ha dato loro e soprattutto in questo viaggio si parlano addosso senza nessuna possibilità di riscatto o evoluzione. 
È un dialogo tra sordi in cui Kant, il padre della ragione, è il personaggio cardine, al di fuori e al di sopra della realtà degli altri ma, in quanto tale, interprete dello stato reale dell'intera umanità. Eppure anche lui è un disadattato, un uomo che non sa vivere tra gli uomini, il cui sapere è in balia della memoria e della sapienza di Federico, un pappagallo che Kant costringe il suo servo a portarsi sempre dietro. 
In fondo è il pappagallo chiuso nella sua gabbia il vero protagonista di tutto il viaggio perché unico vero mezzo di comunicazione, contenitore di tutta la sapienza che l'essere umano saprà portarsi dietro anche in questo ultimo necessario viaggio, fatto nella sola speranza di non perdere la vista. Attraverso di lui - e con la complicità di tutti i personaggi che saliranno sulla nave - l'arte, la religione, il capitalismo, il denaro, la subordinazione, l'inganno, tutto quello che vive nell'uomo moderno - e, possiamo dire, contemporaneo - viene messo a nudo attraverso la rappresentazione a tratti grottesca del viaggio verso "il nuovo mondo". 
Da vedere.
(Sara Santolini)